Una recente pronuncia della Cassazione ha fatto luce su un aspetto importante legato al caporalato: il datore di lavoro è responsabile non soltanto per lo sfruttamento della manodopera, ma anche per le modalità con cui quest’ultima viene reclutata.
Questa decisione diventa particolarmente rilevante per il settore agroalimentare, frequentemente al centro di dinamiche critiche in ambito di intermediazione illecita.
Nel caso in esame, l’impresa agroalimentare in questione ha impiegato 18 lavoratori provenienti da Pakistan e Bangladesh, costringendoli a lavorare in condizioni di evidente sfruttamento, approfittando della loro vulnerabilità economica. È importante sottolineare che il reato contestato riguarda non solo l’abuso economico e psicologico sui lavoratori, ma anche il concorso dell’impresa nella stessa fase di reclutamento. I giudici hanno ribadito che l’utilizzo di manodopera reclutata in violazione della legge rende l’azienda partecipe del sistema di sfruttamento.
In tale contesto, trova applicazione anche la sanzione della confisca dei beni, compreso il denaro di cui il datore di lavoro ha libera disponibilità, aspetto che sottolinea ancora di più la severità della risposta sanzionatoria prevista in relazione al reato in commento.
La giurisprudenza dunque avvisa: non basta non “chiudere un occhio” sugli abusi interni all’azienda, è essenziale accertarsi delle modalità con cui si gestisce l’assunzione della manodopera!
Per un futuro del settore agroalimentare più giusto e conforme alle norme è fondamentale operare con trasparenza in ogni fase del processo produttivo. Solo così sarà possibile costruire dei solidi rapporti di fiducia con gli stakeholders.